Fotografare un buco nero
Fu Albert Einstein, nel 1915, il primo a diffondere l'idea che potessero esistere oggetti dalla massa talmente grande e talmente concentrata da avere la caratteristica di attirare verso di sé le onde luminose senza lasciar loro la possibilità di superarli: i buchi neri.
Per decenni gli scienziati si sono scontrati con l'impossibilità di fare delle misurazioni dirette di questi oggetti: come è possibile misurare qualcosa che "mangia" tutto ciò che lo circonda, luce compresa? Sapevano però che i buchi neri dovevano esistere: osservavano gli effetti della loro enorme forza di attrazione sui corpi celesti vicini.
Per questo motivo è stato, giustamente, dato molto risalto alla notizia della comparsa della prima "fotografia" di un buco nero, pubblicata dalla rivista Astrophysical Journal Letters.
L'immagine ritrae un buco nero supermassiccio (la sua massa è 6,5 miliardi di volte più grande di quella del Sole) che si trova al centro della galassia M87, che dista da noi 54 milioni di anni luce.
Per ottenere questa immagine sono stati necessari 5 giorni di osservazioni ininterrotte fatte contemporaneamente da 8 telescopi sparsi su tutto il pianeta; un progetto ambizioso che è stato chiamato Event Horizon Telescope.
A questi 5 giorni di osservazioni sono seguiti due anni di calcoli intensi, effettuati a stretta collaborazione tra tutte le università e i centri di ricerca che hanno partecipato al progetto.
Per quale motivo è stato così complicato? E come è stata elaborata l'immagine, dal momento che la luce non può uscire dal buco nero?
Ciò che l'immagine ci mostra non è in effetti la luce che circonda il buco nero, ma un'illustrazione a colori della temperatura del suo interno e, soprattutto, del suo "contorno", cioè del suo orizzonte degli eventi.
I telescopi che hanno effettuato le osservazioni sono infatti radiotelescopi, cioè macchinari imponenti in grado di registrare le vibrazioni emesse dai corpi caldi e di ricavare da questi dati la loro temperatura. Le vibrazioni emesse da corpi caldi si conservano nello spazio vuoto di cui è fatta buona parte del nostro Universo molto a lungo; gli scienziati stanno ricavando da queste vibrazioni notizie sulla nascita e l'evoluzione dell'Universo nei suoi primi istanti.
Non sappiamo con precisione cosa succeda quando qualcosa, qualsiasi cosa, viene attratta dall'enorme massa di un buco nero; quello che abbiamo potuto osservare, però, è che questa "inclusione" nel buco nero, cioè l'atto di oltrepassare l'orizzonte degli eventi, provoca un aumento della temperatura del buco nero, anche se molto piccolo.
L'aumento della temperatura provoca delle radiazioni che, anche se in misura molto schermata e tra molte difficoltà, possono essere misurate anche dalla Terra.
La corona luminosa che si vede nell'immagine è quindi il confine esterno del buco nero, la regione di spazio in cui il buco nero ingloba ciò che ha avvicinato a sé grazie alla sua enorme attrazione gravitazionale.
L'obiettivo degli scienziati è ora quello di approfondire questo filone di ricerca: vorrebbero ottenere immagini più nitide, incrociare un numero di dati sempre più alto, poter utilizzare magari anche della strumentazione posizionata su qualche stazione orbitante, per poter un giorno, chissà, capire cosa succede anche all'interno di questi corpi celesti così affascinanti e misteriosi.
Per decenni gli scienziati si sono scontrati con l'impossibilità di fare delle misurazioni dirette di questi oggetti: come è possibile misurare qualcosa che "mangia" tutto ciò che lo circonda, luce compresa? Sapevano però che i buchi neri dovevano esistere: osservavano gli effetti della loro enorme forza di attrazione sui corpi celesti vicini.
Per questo motivo è stato, giustamente, dato molto risalto alla notizia della comparsa della prima "fotografia" di un buco nero, pubblicata dalla rivista Astrophysical Journal Letters.
L'immagine ritrae un buco nero supermassiccio (la sua massa è 6,5 miliardi di volte più grande di quella del Sole) che si trova al centro della galassia M87, che dista da noi 54 milioni di anni luce.
Per ottenere questa immagine sono stati necessari 5 giorni di osservazioni ininterrotte fatte contemporaneamente da 8 telescopi sparsi su tutto il pianeta; un progetto ambizioso che è stato chiamato Event Horizon Telescope.
A questi 5 giorni di osservazioni sono seguiti due anni di calcoli intensi, effettuati a stretta collaborazione tra tutte le università e i centri di ricerca che hanno partecipato al progetto.
Per quale motivo è stato così complicato? E come è stata elaborata l'immagine, dal momento che la luce non può uscire dal buco nero?
Ciò che l'immagine ci mostra non è in effetti la luce che circonda il buco nero, ma un'illustrazione a colori della temperatura del suo interno e, soprattutto, del suo "contorno", cioè del suo orizzonte degli eventi.
I telescopi che hanno effettuato le osservazioni sono infatti radiotelescopi, cioè macchinari imponenti in grado di registrare le vibrazioni emesse dai corpi caldi e di ricavare da questi dati la loro temperatura. Le vibrazioni emesse da corpi caldi si conservano nello spazio vuoto di cui è fatta buona parte del nostro Universo molto a lungo; gli scienziati stanno ricavando da queste vibrazioni notizie sulla nascita e l'evoluzione dell'Universo nei suoi primi istanti.
Non sappiamo con precisione cosa succeda quando qualcosa, qualsiasi cosa, viene attratta dall'enorme massa di un buco nero; quello che abbiamo potuto osservare, però, è che questa "inclusione" nel buco nero, cioè l'atto di oltrepassare l'orizzonte degli eventi, provoca un aumento della temperatura del buco nero, anche se molto piccolo.
L'aumento della temperatura provoca delle radiazioni che, anche se in misura molto schermata e tra molte difficoltà, possono essere misurate anche dalla Terra.
La corona luminosa che si vede nell'immagine è quindi il confine esterno del buco nero, la regione di spazio in cui il buco nero ingloba ciò che ha avvicinato a sé grazie alla sua enorme attrazione gravitazionale.
L'obiettivo degli scienziati è ora quello di approfondire questo filone di ricerca: vorrebbero ottenere immagini più nitide, incrociare un numero di dati sempre più alto, poter utilizzare magari anche della strumentazione posizionata su qualche stazione orbitante, per poter un giorno, chissà, capire cosa succede anche all'interno di questi corpi celesti così affascinanti e misteriosi.
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